Le confessioni di un italiano, HLW

 

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La vita.

 

Non ci piace cominciare la relazione con le solite nacque a… ma nel caso di Ippolito Nievo non si puo’ ignorare la sua biografia perche’ era molto particolare e si presentava come un vero unicum tra gli scrittori del risorgimento. Di piu’ la sua vita fu la materia principale per la sua opera maggiore “Le confessioni di un italiano” che vi vogliamo presentare. Nacque a Padova nella famiglia di un magistrato matoviano e della gentildonna veneziana Adele Marina, la quale fu nata dalla contessa friulana Ippolita di Colloredo. La sua carriera scolastica fu molto disordinata e irregolare perche’ il padre sempre si trasferiva di qua e di la’ per ragioni d’ufficio. Studio’ percio’ un po’ dapertutto: a Soave, a Revere, nel seminario di Verona e nel liceo di Mantova. Poi si iscrisse all’Universita’ di Padova. Nel 48 per iscriversi nella Guardia Civica si reco’ a Pisa e poi a Livorno per combattere contro austriaci. Costretto a ritornare a Venezia si fece mazziniano e cospiratore, coopero’ con vari comitati rivoluzionari dell’alta Italia. Era ammirato dai suoi compagni di studio anche perche’ gia’ recitava i suoi versi e componeva i vari lavori teatrali. Lo vedevano come il loro fratello maggiore, l’interprete dei sentimenti che loro non sapevano esprimere. Un giorno per fargli onore recitarono insieme un suo dramma storico, intitolato: “Gli ultimi anni di Galileo”.

 

Friuli

 

Nel 55’ dopo essersi lauretao si reco’ a Udine nel Friuli. Si inizio’ allora il secondo periodo della sua vita che trascorse pensando e contemplando in montagna e campagna. Era affascinato del Friuli e per questo voleva vivere in diretto contatto con i paesani del luogo: contadini, cacciatori, operai, barbieri e suonatori, per chiedere loro materia e ispirazione per la sua arte. Di piu’ camminava tantissimo, percorse a piedi l’alto Friuli, il Cadore, La Carinzia e molti luoghi delle Alpi. Conduceva cosi’ la vita sana e serena, comincio’ ad amare gli alpigiani e campagnuoli e ne divenne l’interprete e celebratore che si rivelera’ nelle “Novelle campagnuole”, o anche meglio nel romanzo contadinesco intitolato “Il conte pecoraio”. Bisogna aggiungere che questa sua vita gli fece molto forte e robusto il che poi gli permettera’ di diventare un bravo soldato. E proprio questo che desiderava: prepararsi bene per servire poi la patria.

 

Milano

 

Nel 57’ era ancora nel Friuli nel castello di Colloredo quando un processo lo trasse a Milano, trovandosi la’ penso’ di fermarvisi piu’ a lungo. Nel suo Friuli viveva tranquillmente tra le montagne, leggendo e contemplando la natura, ma giunto a Milano cambio’ la sua vita dalla contemplativa ad attiva – lavorando prima come giornalista. La guerra non veniva ancora, allora lui, non potendo combattere con le armi, combatteva con la penna. In quei tempi pubblicava il canzoniere “Le lucciole” e scriveva i suoi capolavori “I Capuani e Spartaco” e il gran romanzo “Le confessioni...”. Fu proprio allora quando si innamoro’ di una fanciulla “bella, pallida e quieta”, la contessina Bice Melzi. Ma quando giunse l’ora e fu dichiarata la guerra del ’59, non esito’ a partire da Milano. Parti’ di nascosto senza nemmeno aver salutato la sua donna...

 

Il volontario garibaldiano

 

La sua prima avventura guerresca fu breva ma molto intensa. Partito da Milano, tre giorni dopo fu a Torino dove s’inscrisse al corpo delle Cento Guide comandati da Garibaldi. Nei giorni seguenti combatte’ a San Fermo e a Varese. La sera dopo aver combattuto, toglieva le armi e prendeva la penna per scrivere “Amori garibaldiani” che sono con le “Notarelle” dell’Abba la piu’ schietta poesia delle camicie rosse. In quei tempi era molto felice di poter combattere per liberare dallo straniero le sue terre, dove vivevano amate da lui donne: la madre e Bice. Ma la sua felicita’ duro’ poco perche’ dopo l’armistizio, Padova, dov’era nato, Venezia, dov’era nata sua madre,  tutte le citta’ del Friuli con il castello della nonna Ippolita, restavano in mano degli austraci. Per non cadere nella disperazione ritorno’ agli studi. Ma il suo pensiero correva sempre a Garibaldi e finalmente dopo lunghi mesi di febbrile attesa, gli giunse la notizia che Garibaldi raccoglieva i suoi volontari a Genova per intraprendere la spedizione in Sicilia. Raccolse in fretta le poesie degli “Amori garibaldini”, li pubblico’ con la dedica alla sua Bice e si reco’ subito a Genova. Segui’ Garibaldi fino a Palermo come vice’intendente, ma appena i nemici erano in vista raggiungeva Sirtoti alla cui schiera apparteneva e si trasformava in bersagliere. Ma quando fu presa Palermo fu costretto a restare in Sicilia che non piacque per niente a Nievo. Pero’ nel 1861 pote’ finalmente lasciare Palermo e recarsi in Lombardia per incontare i suoi prossimi. S’imbarco’ in fretta sul vecchio piroscafo per raggiungere Napoli.

 

Che cosa avenne poi? Nessuno lo sapra’. La vecchia nave disparve per sempre con tutti i suoi passegeri e senza che se ne trovasse nemmeno una traccia. Adele Marin e Bice Melzi invano l’aspettavano per mesi.

La sua morte cosi’ misteriosa e impressionante ingrandisce e sublima la figura di Ippolito Nievo che prima della sua misteriosa morte riusci’ a amare, combattere per la patria e scrivere il suo gran romanzo di cui vi parleremo adesso.

 

Le confessioni di un italiano

 

Nel prologo conosciamo il protagonista del romanzo: Carlo Altoviti, veneziano piu’ che ottuagenario che cominciera’ a raccontarci le sorti della sua vita. Il primo capitolo del romanzo e’ molto lieto e vivace, possiamo dire che e’ come il pimo atto d’una commedia goldoniana, con moltissimi personaggi. Tutti quanti sono osservati da’un fanciullo che cresceva nel castello di Fratta. La descrizione del castello e dei suoi abitanti occupa un bel parte del romanzo. Questo castello esistette veramente e il Nievo ne vide le rovine. Fu costruito nel XII secolo e distrutto poco dopo il trattato di Campoformio. Allora chi ci abitava? Il conte di Fratta descritto con una grande dose di comicismo: [1]. Poi c’era il Cancelliere, il secondo gran personaggio di questo piccolo mondo, il segretario e quasi l’alter ego del signor conte. I due, messi insieme formavano una coppia che assomiglia non poco quella di Cervantes: sono Don Chiscotte e il Sanzio Pansa del castello di Fratta.

 

Il Conte aveva anche il fratello chiamato il canonico Orlando che non gli assomgliava per niente. Nella famiglia c’era la grande tradizone guerresca e lui non la voleva continuare. Dopo le lunghe liti con suo padre Orlando pote’ andare in seminario. [2] Nel castello troviamo anche Il Capitano Sandracca che sembra proprio Capitan Spavento della commedia dell’Arte. “Le dee della grazia e della bellezza non avevano possieduto alla sua nascita” scrive Nievo. Il Capitano si truccava troppo, alzava spesso il gomito, e raccontava le storie delle guerre di sessant’anni fa a cui assisteva - avendo pero’ solo cinquant’anni.

 

Poi c’era anche il Martino: grattaformaggio del castello che essendo molto lento e flegmatico se ne occupava molto ore al giorno (di grattare il formaggio). Era il vero amico del Carlo Altoviti e lo diffendeva e praticamente si occupava di lui. Acquista vera importanza solo dopo la sua morte, lasciando il testamento che avra’ una grande importanza per il nostro protagonista. Con Martino c’era anche il Marchetto – il corriere che andava sempre a cavallo e portava ogni tanto con se’ il piccolo Carlino.

 

Il maestro di Carlino che lo insegnava la dottrina e la calligrafi fu il pievano (parocco) di Teglio.  Infine c’era la Contessa di Fratta – la donna molto riservata, che essendo forzata a occuparsi di piccolo Carlino che fu il figlio di sua sorella – lo odiava con tutto il cuore. Solo sua madre, quasi novantenne aveva un vero affetto verso piccolo Carlino. Lui adorava la sua voce e la desiderava come sua madre. [3]

 

Dopo conosciamo le due personaggi femminili piu’ importanti del romanzo: le contesse di Fratta.

Prima, la Pisana, e’ l’eroina del romanzo e la piu’ bella creazione di Nievo. Possiamo osservare la sua maturazione dalla bimba alla forte e coraggiosa donna. Il suo ritratto e’ probabilmente quello di Bice Melzi, l’amore di Nievo.

La sorella di Pisana, Clara, e’ completamente diversa. Pallida, bionda, molto seria e dignitosa. Nievo prima di scrivere questo romanzo aveva gia’ abbozzate le figure di queste due fanciulle nella poesia intitolata “Le due bimbe”.

 

Come abbiamo gia’ detto il nostro protagonista nacque dalla sorella della Contessa di Fratta, allora e’ il primo cugino della Pisana. Sua madre lo spedi’ in un canestro al castello quindi gia' dall’ottavo giorno dalla sua nascita fu con sua zia che “senti’ per lui l’odio piu’ sincero, ed io non tardai a provarne le conseguenze”. Allora gli facevano girare da una casa all’altra dove fossero le mammelle da succhiare. Come diceva di se’: era fratello di latte di tutti gli uomini, di tutti i vitelli e di tutti i capretti che nacquero in quel tempo nella giurisdizione del castello. Si occupavano di lui suddetto Martino e un certo maestro Germano, il portinaio di Castello. Cresceva quindi sott’occhio di due “vecchi matti” e si innamorava della piccola Pisana intanto il castello continuava a vivere la sua piccola e monotona vita.

 

Carlino passava la sua fanciulezza come tutti i bambini di sua eta’. Scappava per non servire alla messa, disegnava sui muri la faccia del suo insegnante: il pievano, giocava e correva per i campi. Il fatto da sottolineare e’ che ad esempio non mangiava mai con la famiglia, non fu trattato alla pari con la famiglia ma “rosicchiava gli ossi in cucina, coi cani e coi gatti e con Martino”. Dopo il pranzo c’era il tempo per la passeggiata, poi di nuovo per i giochi. Durante la notte Carlino dormiva nella stessa camera con la Pisana. Quando tutti dormivano solo Clara leggeva fino a tarda notte. Fu chiamata dalle contadine la Santa e infatti Nievo la descrive un po’ come frate Franceso. Lei era molto credente e vedeva un fratello e una sorella in tutte le cose, aveva dunque l’anima proprio francescana. Tutti i giovani che apparivano nel castello, venivano specialmente per lei. Fra tutti che non mancava mai era il signore Lucilio Vianello, figlio del dottor Sperandio.

 

Lucilio studiava la medicina per diventare il medico come suo padre, ma non era quello che desiderava allora aveva certi problemi col finire i suoi studi. Dopo – come vedremo – l’amore per Clara gli da’ una spinta per laurarsi e trasferirsi a Venezia. Prima Lucilio mese per mese, giorno per giorno cercava di suscitare l’amore in Clare finche’ ci riusci’. La figlia primogenita d’un nobile feudatario e il figlio d’un povero medico di campagna benche’ appartenessero ai diversi classi sociali incominciarano ad amarsi segretamente e speravano di essere insieme – e sempre invano – per tutta la vita. Anche Carlo Altoviti s’innamoro’ con le trecce nere della Pisana e fu cosi’ che questi due amori accanto agli avvenimenti storici saranno la trama del nostro romanzo.

 

Intanto Carlo cresceva e pian piano conosceva la vita e il mondo che lo circondava. La vita tranquilla nel castello ogni tanto fu interrotta da qualche incidente poco piacevole ad esempio quando Carlo dovette servire come girarrosto cioe’ fu costretto a stare in cucina per molte ore vicino alla stufa. La Pisana intanto che gia’ dimostrava il suo caratterino veniva in cucina a godere la sua “rabbiosa umiliazione”. Poi Carlo comncio’ ad “allargare il suo piccolo mondo”. Prima usci’ fuori dalla cucina, poi ando’ oltre il cortile del castello, sulla piazza di Fratta e una volto passo’ i confini del minuscolo villaggio per scoprire il mare. Fu l’esperienza quasi mistica, Nievo la descrive come la scoperta di “una nuova fede”, piu’ viva e fortemente sentita. Il ragazzo si allontan’ dal castello e non seppe ritrovare la strade. Venne infine aiutato da uno strano uomo vestito di nero e accompagnato al suo cavallo davanti al castello.

 

Dopo il ritorno al castello alle due di sera tutti erano cosi’ preoccupati per Carlino che non osarono di dargli i calci, le pedate e spintoni. La contessa gli impedi’ di dormire nella camera della Pisana e lo mise in una stanzina sottoscala. La notte venne da lui la Pisana per consolarlo a dargli una ciocca dei suoi capelli. Ma come lo fa! In questo capitolo possiamo scoprire anche il carattere della fanciulla che dice ad esempio: io non mi ammalo mai! Quindi e’ prepotente anche verso le malattie, comanda anche su di esse. Non offre i capelli messi in qualche scattolina ma ordina a Carlino: voglio che tu mi strappi i capelli! Carlino rimase scioccato e innamorato ancora di piu’.

 

Dopo la soperta del mare Carlo scopri’ anche tutti villaggi che erano intorno: Teglio, Morsano, cintello, Bagnarola, Venchieredo, Cordovado. In quest’ultimo conobbe il signor Antoni Provedoni che possedeva , insieme con i vari poderi, ben sette figliuoli, ai quali diede i nomi “piu’ o meno eroici e bestiali”. Veniva prima Leone, poi Leopardo e Bruto, Bradamante e Grifone, e l’ultima piccola Aquilina che contava appena 5 anni. I personaggi di Aquilina e Bruto svolgeranno il ruolo importante nella vita di Carlo ma prima bisogna raccontare la storia di Leopardo e della incantevole fontana. Fu proprio intorno a questa fontana che si svolse un giorno, fra il bel Leopardo e la vezzosa Doretta – una gentile scena idilliaca, che parebbe dell’Aminta del Tasso, se i due protagonisti fossero chamati Silvia e Aminta. Leopardo quando vide Doretta gli sembro’ a prima vista la ninfa della fontana, che sia uscita dall’acqua. Nievo la decrive cosi’ che si presenta alla nostra immaginazione quasi come un essere soprannaturale. Leopardo ovviamente si innamoro’ di lei e il signor Antonio che non la voleva a casa dovette infine dar pace.

 

Mentre a Cordovado si celebrevano le nozze di Doretta e Leopardo, le maggiori novita’ succedevano nel piccolo mondo di Fratta. Tutto per opera di gran movimento rivoluzionario che gia’ partiva dalla Francia. Proprio in quegli anni a Portogruaro si stabili’ la famiglia dell’ eccellentissimo senatore veneziano Almoro’ Frumier, cognato del conte di Fratta. Allora il conte si sent’ nell’obblogo di recarsi spesso a fargli visita e partecipare alle eleganti e animate conversazioni che si tenevano in casa Frumier, tirandosi dietro la sua famiglia. La donna che nelle conversazioni di Frumier ottenne il maggior successo fu la contessina Clara, non solo per incantevole bellezza ma anche per il pudico e aggraziato riserbo di cui la circonadava. Di conseguenza appersero intorno a lei tanti ammiratori ad esempio Raimondo di Venchieredo. Clara pero’ con gran meraviglia di tutti rifiuto’ di dargli la sua mano.  Allora si penso’ che la contessina fosse innamorata di qualche altro ragazzo, ovviamente nessuno pensava di Lucilio, ma di Partistagno che sempre girava intorno.

Lui allora venne a chiederle la mano e dopo una tragicomica domanda di matrimonio, durante la quale Clara svenne e decise di andare al convento si rivelo’ che fu innamorata di Lucilio Vianello. Per questo fu subito allontanata da lui e si trasferi’ con la madre a Venezia per essere quindi chiusa nel convento. Lucilio invece non rimase con le mani in mano ma si reco’ a Padova, finalemnte consegui’ la laurea in medicina e si stabili’ pure a Venezia per esercitare la sua professione e non per questo soltanto.

 

Qualche tempo dopo il signor Lucilio fu stabilito a Venezia, gia’ diciasettenne Carlino s’insrisse all’universita’ di Padova alla facolta’ di giurisprudenza. La sua partenza di Fratta non fu lieta, e soffri’ molto di dover lasciare il vecchio castello dove’era cresciuto. Ma soprattutto non voleva allontanarsi dalla Pisana che intanto divenne una bella ragazza quindicenne, ma sempre piu’ bizzarra e volubile. Con la Pisana lasciava anche il suo buon Martino, il vecchio “pazzo ed affetuoso” che gli insegno’ e muovere i primi passi! Giunto a Padova si mescolo’ alla rumorosa vita studentesca e comincio’ ad occuparsi di politica e seguire con il piu’ vivo interesse i molti avvenimenti del tempo. La rivoluzione francese seguiva il suo corso e anche Carlo si diede a “far brindisi alla liberta’, all’uguaglianza, al trionfo della Francia”, e non solo divenne “un volteriano battagliero e fanatico” ma anche un censore del governo veneziano che invece di dichiararsi per questo o per quel partito, s’andava sempre piu’ chiudendo “nel ruinoso partito della neutralita’ disarmata” di quella neutarlita’ che l’avrebbe condotta alla rovina. Dopo due anni dello stadio pote’ diventare il cancelliere di Fratta perche’ quel precedente era intanto morto.

 

Tornava quindi a Fratta: “ricordavo, e insieme dimenticavo e sognavo: ricordavo le beatudini del fanciullo, dimenticavo i dolori dell’adolescente e sognavo un ritorno allegro e felice a quelle rive incantate d’Alcina, donde cacciati una volta, invano si cerca di approdare ancora”. Giunto a Fratta, il nostro neo-cancelliere si mise con impegno al lavoro ma era tormentato dalle stranezze della Pisana che invece di migliorare , si era incattivita sempre piu’, e ad misura cresceva nella bellezza e nella leggiadria. Le sue stranezze erano ormai proverbiali e suscitarono le piu’ vive preoccupazioni nel castello. Ma Carlo la capiva perche' solo “chi nacque si puo’ dire e crebbe con lei e penso’ sempre a lei, a non amo’ che lei, puo’ averla interamente indovinata”.

 

Un giorno il nostro protagonista si reco’ nella camera di Martino che ormai comincio’ a mancargli. Sfogliando il suo libro di devozione trovo’ gli appunti del vecchio amico che cambiarono di colpo la sua vita. Furono soprattutto le citazioni dal Vangelo o dalla Bibbia, ad esempio: [4] Alla lettura di queste pagine, Carlino rinuncio’ all’amore della Pisana e decise di volgere tutte le forze dell’anima al bene degli uomini e della patria. Questa promessa la mantenne solo in parte, perche’ non riusci’ mai a dimenticare la Pisana. Fu cosi’ che l’Altoviti, nel suo ventesimo anno e per merito del vecchio e modesto grattoformaggio del castello divenne veramente uomo e vero italiano.

 

Nel anno in cui Napoleone scendeva in Italia il Conte con la Pisana si recarono a Venezia. Carlo rimase a Fratta ma il castello non era piu’ che una volta. Gli avvenimenti precipitavano e anche a Fratta si ebbe allora un fuggi generale, e il povero castello rimase come un deserto con appena due servitori e con la vecchia contessa di cui nessuno si dava cura. Stando cosi’ le cose l’Altoviti si senti’costretto ad andare a Portogruaro  per chiedere l’aiuto al vice-capitano e per trovare l’infermiera per la vecchia che aveva in casa. Fu proprio in quel giorno, senza che scendesse dal cavallo, che Carlo intraprese la sua movimentata carriera politica.

Trovandosi in mezzo alla folla dei contadini che parlava con vice-capitano fu scelto come l’avogadore cioe’ magistrato veneziano, a cui era affidata la tutela delle leggi e la difesa del popolo. Tutto pero’ succedette un po’ per caso, Carlino ci racconta: [5] Il vice-capitano non lo trattasse sul serio e perfino lo volle tenere come l’ostaggio ma all’improvviso vennero i francesi. Preoccupato che qualche disgrazia succedette al castello ci si reco’ subito. Purtroppo i suoi timori non erano infondati. Trovo’ morta la vecchia contessa.

 

L’Altoviti rimase assai amareggiato per la tragica fine della vecchia signora e senti’ in quel giorno diminuirsi non poco il suo vivo entusiasmo per i francesi. Decise di recarsi a Udine per riferire tutto a Napoleone e per chiedere la punizione dei responsabili. Napoleone parlava con Carlo mentre gli facevano la barba e rispose solo: basta cittadino, ho osservato tutto. Il bene della repubblica innanzi ad ogni cosa. Volete essere un eroe? Dimenticate ogni privato puntiglio e unitevi a noi. Di qui a quindici giorni mi rivedrete. Allora la pace, la gloria, la liberta’ universale avranno cancellato la memoria di questi eccessi momentanei.” Napoleone gli sembro’ un po’ aspro e sordo, e senza cuore ma lo scuso’ pensando “che il suo mestiere lo voleva per momento cosi’”.

 

Poi il nostro protagonista essendo stanco della vita monotona che da vari anni conduceva a Fratta decise di trasferirsi a Venezia, anche per rivedere Pisana e per riconquistarla. Intanto gli giunse una straordinaria notizia: nella stessa Venezia era ricomparso suo padre! Sor Todero lo riconobbe per figlio, lo fece iscrivere nel libro d’oro della nobilta’ veneziana e cosi’ gli diede modo per comparire per la prima volta al Maggior Consiglio nella seduta del 2 aprile 1799. Fu cosi’ che il giovane Altoviti divenne un uomo politico e pote’ asistere e anzi partecipare attivamente ai memorabili avvenimenti di quell’anno. Fece parte anche della memorabile seduta del 11 maggio nella quale i suoi amici politici decisero di chiedere che il Maggior Consiglio decretasse l’abolizione di tutti i vecchi istituti politici e desse a Venezia un nuovo governo del tutto conforme a quello francese. Aderi’ lui pure a quella proposta ma usci’ da quel convegno con l’animo sconvolto e con il presentimento che ormai fu suonata l’ultima ora della Repubblica Veneziana. Quattro giorni dopo l’ultima seduta del Maggior consiglio le prime truppe francesi entravano in Venezia, la quale cosi’ finiva la sua esistenza di 14 secoli. L’Altoviti pur fremendo di sdegno, entro’ a far parte del nuovo governo come il segretario generale. Ma dopo il trattato di Campoformio fu costretto a emigrare.

 

Lasciamo per un momento il nostro Carlo e vediamo cosa succede con Clara e Lucilio, Leopardo e Doretta e con la Pisana. Ognuno di quei personaggi, mentre Venezia cadeva, continuava a vivere le sue intime vicende e quelle della patria. Ma procediamo con ordine. Lucilio anche se si fece uno dei capi rivoluzionari a Venezia non smise di pensare di Clara. Per questo decise di recarsi al convento per chiederla la mano. La risposta di Clara fu molto particolare: [6] Pochi giorni dopo, Clara pronuncio’ i suoi voti. Mentre Leopardo era nei guai non solo per colpa della Doretta  che diventava sempre piu’ capricciosa e tirannica, ma soprattutto per le condizioni della sua patria. Quando vide la Venezia cadere nelle mani austriache ebbe una violenta crisi che lo spinse al suicidio. In seguito alla caduta di Venezia e alla tragica morte di Leopardo l’Altoviti si chiuse per vari giorni in casa  ed avrebbere sicuramente seguito il suo amico Leopardo, quando apparve Pisana, che pareva dimenticasse di lui. Sposata gia’ con un ricco signore Navagero batte’ alla porta di Carlo.

 

E lo saluta con le parole: “Te lo spiego ora cosa significa! Ho piantato mio marito, sono stanca di mia madre, fui respinta dei miei parenti. Vengo a stare con te!” Come vediamo la Pisana non cambio’ per niente. A casa sua cercava di convincere un certo Minato per combattere per la liberta’ di Venezia e quando lui le rispose: “sei un incantevole pazzerella”, lei “gli stampo’ sulla guancia uno schiaffo cosi’ precipitoso che sua madre, suo marito, i servi e le cameriere accorsero al rumore della stanza”. Cosi’ l’Altoviti fu costretto a tenere la Pisana a casa fino a quando i poliziotti austriaci che gia’ da un pezzo andavano in cerca di lui per fargli scontare i suoi entusiasmi rivoluzionari, ne ebbero scoperto il rifugio. Riusci’ a salvarsi a stento con la fuga e si avvio’ tristemente all’esilio, senza la sua Pisana, che restava a Venezia. Cosi’ a 22 anni l’Altoviti fece simbolico addio alla giovinezza.  

 

Dopo la fuga da Venezia, Carlo Altoviti condusse per vari anni una vita molto avventurosa, partecipando in vario modo ai piu’ notevoli avvenimenti del tempo. Giunto a Milano si arruolo’ nella legione partenopea commandata da Ettore Carafa. Combatte’ con vario successo qua e la’, addimostrando ovunque fermezza e coraggio, assiste’ a Roma alla Proclamazione della Repubblica Romana, ed a Napoli alla caduta della Repubblica Partenopea. Coinvolto nella lunga e vana guerriglia che i patrioti dovettero sostenere contro le bande del cardinal Ruffo, fini’ per cadere nelle mani del brigante Mammone e avrebbe lasciata la testa sul patibolo (la forca), se la Pisana non fosse riuscita a liberarlo. Dopo 1800 ottenne a Bologna un alto e lucroso ufficio dove trascorse con la Pisana lunghi e felici anni. Ma dopo la trasformazione della Repubblica in Regno d’Italia Carlo Altoviti si senti’ costretto a dimettersi da quel suo ufficio. Da via da Venezia, dopo una breve sosta, presero insieme la via di Fratta e di Cordovado, per rivedere, dopo tanti anni di lontananza, i cari luoghi dove avevano trascorso gli anni piu’ belli.

 

A Cordovado abitavano con Bruto e sua sorella Aquilina che ormai divenne una bella ragazza. Bruto era diventato come il fratello di Carlo e l’Aquilina come sua sorella o la figlia. Anche Pisana aveva un gran affetto verso la ragazza. Poi si era accorta che l’Aquilina amava intensamente l’Altoviti e per questo un giorno Pisana venne da Carlo e gli fece la formale proposta di sposare la ragazza. Lo fece come sempre nel suo specifico modo dicendo appunto: “Si’, ti dico... tu sposerai l’Aquilina! (...) e’ innamorata di te, ella ti piace, ti conviene per tutti i versi. La sposerai!”. Fin fine dalla bocca di Carlo sfuggi’ un si’. Quel si’ strappatogli a forza in un momento di debolezza gli fece il leggittimo marito di Aquilina Provedoni. La Pisana appena vide celebrate le nozze, parti’ da Cordovado: senza dir la parola. Tanto la sua missione fu gia’ compiuta. Ritornata a Venezia, rientro’ nella casa del vecchio marito, si diede a curarlo con grande impegno, transformandosi, con gran meraviglia di tutti, in una instancabile infermiera. La aiuto’ la sorella Clara che in seguito alla soppressione degli ordini religiosi usci’ dal convento e abito’ con sua sorella sotto lo stesso tetto. Pian piano morivano i loro cari, prima il canonico Orlando, poi la contessa di Fratta. Cio’ che non moriva e non poteva morire mai era invece l’amore di Lucilio, il quale, appena venne a sapere che Clara era costretta a smonacarsi, ando’ ancora una volta a chiederne la mano di sposa. E al nuovo rifiuto che la gia’ vecchia e disfiorita zitella gli oppose, fu visto partire “curvo, barcollante, mormorando strane parole”.

 

Quanto al nostro  protagonista, tanti anni sono passati dal suo matrimonio con l’Aquilina con cui ebbe tanti figli. E da quel tempo non si e’ mosso da Cordovado e non ha per nulla partecipato ai tanti avvenimenti che per anni ed anni e sempre per opera di Napoleone hanno sconvolto il mondo. Alle notizie dei moti rivoluzionari, avendo gia’ 45 anni, senti’ di nuovo gli antichi entusiasmi e si mise in viaggio a Napoli. Ma prima voleva passare per Venezia e rivedere la Pisana, che vide ancora curare suo marito. Giunto a Molfetta si’ingaggio’ come semplice soldato con le tuppe del generale Pepe’ ma la fortuna non gli arrise. Combattendo nella battaglia di Rieti cadde nelle mani dei nemici, che lo chiusero nella fortezza di Gaeta dove perse la vista. Essendo gia’ cieco non vollero ucciderlo; lo condannarono invece all’esilio perpetuo. Povero e solo, e senza gli occhi, stava per imbarcarsi per Londra quando fu raggiunto dalla Pisana che, informata di tutto, gli diede i suoi occhi e ando’ con lui all’esilio.

 

Giunsero insieme a Londra dove la Pisana per sostenerlo e curarlo per non fargli mancare il pane e il fuoco si sottopose ai piu’ duri e lunghi sacrifici. Si accinse ad ogni sorta di lavoro e quando cominciarano a mancare i soldi perche’ aveva gia’venduto tutto, non esito’ a stendere la mano ai passanti (chiedere l'elemosina) per il suo povero cieco. Lui invece non sapendo cosa succedeva con lei durante le sue lunghe assenze si dimostrava ingiustamente geloso e sospetto. Ma la Pisana non gli rispondeva ma continuava la sua eroica vita, la quale col passare dei mesi l’aveva indebolita, stancata e rovinata la salute. E un giorno finalmente mentre stendeva la mano ai passanti fu riconosciuta da un uomo che la ben conosceva: dal dottor Lucilio, il quale dopo l’ultimo rifiuto di Clara, aveva abbandonato Venezia e s’era trasferito a Londra.

 

Lucilio scopri’che gli occhi di Carlo erano coperte dalla cataratte quindi era facile guararirsi con un breve operazione chirurgica. Avendo i soldi perche’ aveva allungato la gamba a Byron! promise di portare a Londra l’Aquilina e i figli di Carlo. La Pisana che era peggiorata in salute aveva verso Carlo l’attegiamento ostile e freddo. Proprio perche’ era gelosa della moglie e s’era pentita di averlo costretto a sposare l’Aquilina. In fondo l’amavo sempre di piu’ pero’ il cieco non lo seppe leggere, comincio’ a trattarla duramente e a dimostrarsi affettuoso con sua moglie. Ma Lucilio non tardo’ ad intervenire e un giorno trovatolo solo, gli svelo’ tutta la verita’. [7] In seguito a questo colloquio l’Altoviti riebbe la prima vista, quella dell’anima. Il suo amore per la Pisana s’accrebbe smiusaremente, ebbe per lei le parole piu’ dolci, fece di tutto per riavvicinarsele’ ma non pote’ riuscirvi. L’erocia e tenacissima Pisana persistette nel suo atteggiamento dimostrandosi sempre piu’ fredda e superba.

 

La prima persona che Carlo vide dopo la operazione fu la Pisana. Ma quanto e’ cambiata! La nostra eroina era piu’ al cielo che al terra. Di giorno in giorno si faceva piu’ esile e bianca e tossiva sempre di piu’. L’Altoviti la guardava per ore con quei suoi occhi che Lucilio gli aveva ridati e che non avrebbe voluto ripossedere per non assistere a quel lungo e lento morire. Un acuto rimorso gli straziava l’anima, e si pentiva di non averla amata abbastanza, d’esserle stato ingrato, di non aver saputo degnamente apprezzare tutti gli immensi sacrifici che lei aveva fatto per lui. Una cupa e nera diperazione lo mangiava e forse seguirebbe la sorte di Leopardo se la Pisana stessa con le lacrime negli occhi non gli avesse un giorno comandato di vivere. E Carlo per obbedirle giuro’. E la Pisana, solo dopo questo giurmanto, pote’ morire tranquilla.

 

Pochi giorni dopo che il corpo della Pisana fu deposto in un piccolo cimitero campeste, l’Altoviti, con i suoi, ritorno’ a Venezia. La sua vita protrasse per molti e molti anni ancora, ma da quel tempo in poi, egli fu come un sopravissuto, come uno sperduto nel mondo dei vivi. Vide crescere i suoi figli, li vide combattere in Grecia e in Italia... Ma qualunque cosa facesse ebbe sempre l’anima tutta occupata della Pisana. Nel ’58 l’Altoviti ha gia’ superato l’ottantesimo anno. Dopo la morte della Pisana, ha visto tante morti, la sua generazione e’ del tutto scomparsa. Dei tanti personaggi del romanzo lui solo sopravviva. La disonesta Doretta e’ morta all’ospedale, abbandonata da tutti, Bruto Provedoni e’ caduto combattendo in difesa di Venezia, Lucilio anche mori’ a Venezia, pochi giorni dopo mori’ la sua Clara e in mezzo a tanti morti aveva finito di morire il vecchio castello di Fratta, dopo aver visto scomparire tutto il piccolo mondo che aveva ospitato. Vecchissimo Carlo prima di morire volle rivedere per l’ultima volta quel castello. E come lo ritrovo’: [8]

Fu dopo questa visita, che Carlo pote’ morire avendo sempre il pensiero rivolto alla Pisana.

 

              I. Nievo, Le confessioni di un italiano, Mondadori, Verona 1970, p.23.

              Ibidem, p.29.

              Ibidem, p.38.

              Ibidem, p.104-105.

              Ibidem, s. 116.

              Ibidem, s. 143.

              Ibidem, p. 176.

              Ibidem, p. 188.

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